Una motosega che, in controluce, affonda i suoi denti sulle doghe di alcune grandi botti, tipiche della viticoltura langarola: è questa l’immagine simbolica scelta (insieme ad un’altra sequenza al alto tasso iconico come la caduta del Muro di Berlino) dai registi Paolo Casalis e Tiziano Gaia per dare il via alla “rivoluzionaria” storia raccontata nel bel film-documentario Barolo Boys, realizzato nel settembre 2014 e disponibile ora in una bella versione DVD.
Nella metà degli anni ottanta, all’indomani dello scandalo del vino al metanolo, un gruppo di giovani vigneron langaroli decise di dare una scossa all’universo enologico di provenienza trovando in Marc De Grazia (altrettanto giovane importatore di vino italo-americano) un efficace catalizzatore capace di assecondare e, al tempo stesso, stimolare le loro istanze, sintonizzandole con la nascente vague della critica enologica a stelle e strisce, incarnata dai guru Robert Parker e James Suckling e da riviste come Wine Spectator.
Ne nacque una vera e propria guerra di religione fra “modernisti” e “tradizionalisti” (con corollari archetipici come parricidi virtuali e diseredazioni reali) che, per quanto “normalizzata” dal naturale scorrere del tempo, rilascia ancora qua e là qualche scintilla.
I “tradizionalisti” come Bartolo Mascarello (che, in sedia a rotelle, appare in un suggestivo filmato di qualche anno fa), faticavano a riconoscere in quel vino “nero”, dai marcati sentori fruttati e dalla speziatura dolce il prodotto che, per decenni, era stato il prezioso frutto dei vigneti coltivati in Langa.
Ma per i “modernisti”, fra i quali Elio Altare, Roberto Voerzio, Giorgio Rivetti (e, qualche anno dopo, la Barolo Girl Chiara Boschis), il cammino tracciato da De Grazia era l’unico possibile e il successo commerciale rafforzò le loro convinzioni. Via libera, quindi, ai vini iper-concentrati e affinati in barrique, venendo incontro al mercato, fortemente caratterizzato dal gusto “americano”.
Da più parti gli autori del documentario sono stati accusati di parteggiare per i Barolo Boys, ma bisogna invece riconoscere la riuscita polifonia di voci che dà spazio anche alle opinioni discordanti di Beppe “Cirtrico” Rinaldi, del citato Mascarello e di altri ancora.
Certo, non si sentiva la mancanza del punto di vista di Oscar Farinetti (tra l’altro del tutto estraneo alla vicenda ma presente, con Eataly Media, tra i finanziatori del progetto), così come ancor più superflua appare la presenza di Joe “Masterchef” Bastianich in qualità di voce narrante. Ma, insomma, nessuno è perfetto.
Bellissimi gli scorci paesaggistici delle Langhe, punteggiati da ordinati vigneti nei cui filari si alternano le note della Banda Musicale di La Morra, che in un certo senso scandisce i tempi del racconto, e i palleggi dei calciatori (veri) militanti nella squadra che proprio dai Barolo Boys prende il nome.
Tante le testimonianze significative, tra le quali ci piace assegnare un ideale “Premio sincerità” a Davide Rosso, quando sottolinea la componente “Glamour” e il gran divertimento che hanno caratterizzato la loro avventura e a “Carlin” Petrini (che con la guida Gambero Rosso -Slow Food fu tra i maggiori “fiancheggiatori” del movimento) quando, con candida umiltà, ammette che nel tempo i gusti “dominanti” cambiano e, attualmente, non riesce più ad emozionarsi di fronte a certi vini. Inutile specificare che sentiamo molto più nelle nostre corde la visione tradizionalista, senza però dimenticare gli innegabili benefici che questa “rivoluzione” ha apportato: in primis il ruolo di primo piano conquistato dalle Langhe, terroir diventato oramai universalmente sinonimo di vino di qualità, e poi il fatto che pratiche allora “scandalose”, come il diradamento in vigna, si sono poi rivelate non così negative. E questo solo per citarne alcuni.
Spetta a Marc De Grazia, nel frattempo auto-esiliatosi (per modo di dire) sulle pendici dell’Etna, trarre una morale da questa “epopea” che lo ha visto protagonista principe. E lo fa con grande (auto) ironia: “Siamo colpevoli di aver esagerato nella nostra rivoluzione. Siamo andati a degli estremi straordinari e per questo ci meritiamo il castigo di tutta la tradizione e la storia del Barolo. Ecco, lo ammetto”.