Carissimi amici sommelier ed appassionati, chissà quanti di voi si staranno chiedendo che senso abbia recensire un libro pubblicato più di quarant’anni fa. È giusto porsi un simile quesito, ma se vi dicessi che sto parlando di “Il vino giusto” di Luigi Veronelli, edito da Rizzoli nel 1971, allora iniziereste a capire.
Carissimi amici sommelier ed appassionati, chissà quanti di voi si staranno chiedendo che senso abbia recensire un libro pubblicato più di quarant’anni fa. È giusto porsi un simile quesito, ma se vi dicessi che sto parlando di “Il vino giusto” di Luigi Veronelli, edito da Rizzoli nel 1971, allora iniziereste a capire.
Molteplici sono, infatti, le motivazioni che mi hanno spinto alla ricerca di questo volume, ormai fuori catalogo e quasi introvabile, ma due in particolare mi hanno esortato a trovarlo, leggerlo e, ora, recensirlo per voi. La prima è che si tratta di un classico e, come i grandi classici, non va mai fuori moda; la seconda è l’autore, Luigi Veronelli, un autentico “mostro sacro” del giornalismo enogastronomico italiano.
Il libro è organizzato in diversi capitoli, eppure è possibile dividerlo in due grandi sezioni: una mirata a conoscere e capire il vino, l’altra a degustarlo ed apprezzarlo nell’abbinamento con il cibo. Infatti, nella prima parte si esamina il vino, partendo dalla vite e dal luogo in cui essa cresce, senza tralasciare gli aspetti e le fasi che ne possono influenzarne la qualità: il clima, la vendemmia, i metodi di vinificazione ed, in ultimo, l’imbottigliamento e la cantina in cui dovrà riposare ed affinarsi. Il vino viene poi descritto in tutti i suoi microcomponenti, con l’accurata esposizione dei relativi meccanismi ed effetti procurati a livello sensoriale nel momento della degustazione.
Segue poi una approfondita trattazione della degustazione; se non fosse per il modo, molto elegante, di proporre certi argomenti, sembrerebbe un manuale tecnico per la formazione dei sommelier; ma si sa, certi autori si concedono delle licenze: “la degustazione, ricorderai, come l’amore comincia dagli occhi…”.
I vari elementi sono ben descritti, dalle funzioni sensoriali (vista, olfatto, gusto e tatto), agli aspetti tecnici (bicchieri, temperatura di servizio, stappatura, ecc…). Chiude questa parte una lunga lista di vini, “i miei vini” come dice lui; si parte dal nord Italia per arrivare alle isole, senza farsi mancare un salto in Francia (e che vini!).
Nel procedere con la lettura, ci si rende conto che mancano tanti grandi vini di oggi (per es. i Supertuscans); così come ci si accorge che certi vini non esistono più o sono finiti nell’oblio. Per terminare l’argomento vino, l’autore si sofferma sull’importanza dell’annata e sulle denominazioni d’origine, sottolineando la superficialità e la fallacità del sistema normativo (allora piuttosto giovane) e suggerendo opportuni adeguamenti, volti a salvaguardare la qualità e l’integrità dei prodotti; suggerimenti che oggi, col senno di poi, appaiono intelligenti e lungimiranti, ma ahimè, con grande rammarico, ancora inascoltati!
La seconda parte del libro è un trattato sull’abbinamento cibo-vino. Il grande “Gino”, dall’alto della sua autorevolezza, detta delle regole, invita a provarle e, talvolta, ad ignorarle. Qui è palese la sua vitalità oratoria e la sua enorme cultura enogastronomica, con citazioni di proverbi popolari, descrizioni di abbinamenti tradizionali e lo stravolgimento delle regole, dettate da quelli che lui chiama “gli accademici”. Veronelli propone di seguire quello che i sensi apprezzano, rifiutando tutto ciò che non è armonico e che non guadagna in bontà dall’abbinamento; quindi sempre “pronti a non andar drio la regola”.
Antipasti caldi e freddi, brodi e minestre, pasta e riso, pesci e carne, formaggi, dolci e frutta: non manca niente! Poi un lungo elenco di “puntuali accoppiamenti”, ovviamente sperimentati ed approvati dall’autore. In chiusura c’è spazio anche per l’AIS, allora piuttosto giovane, che Veronelli elogia per la “intelligente indipendenza” e per la capacità “di difendere, con i leciti interessi della categoria, l’interesse più vasto “per” il vino” (sarà ancora così? Io spero e credo sia ancora così!).
Il libro è ben fatto e piacevole da leggere; Veronelli scrive con un italiano letterario, quasi poetico, che ai più giovani potrà sembrare un po’ arcaico, ma colto ed aulico, evidente frutto di una formazione umanistica; tuttavia i contenuti, trattati con grande competenza, sono molto comprensibili, grazie ad un linguaggio che, pur nella sua elegante ricercatezza, rimane immediato, segno di una grande capacità comunicativa e divulgativa. Quindi affrettatevi tutti a cercare presso i mercatini di libri usati o su internet, tra siti e-commerce, siti di aste e di negozi di libri usati on-line, per trovare questo, ormai raro, gioiello della letteratura enoica italiana! E poi…
Buona lettura!