Cannonau, o canonau come suggeriscono alcuni, è uva che sa di storia e di terra, di uomini e di scelte; ne avrò provate in vino mille versioni differenti. Ma il Cannonau passito è sciarada vera, amarlo o odiarlo è questione di dettagli, sfumature espressive e zero virgola di residuo zuccherino.
Fare l’alba tra botti e bagordi è frutto di stagione, evitabile ma non privo di appeal anche per chi ha superato gli anta.
Ovviamente ognuno festeggia come può e io, approfittando della figliolanza stranamene sonnacchiosa, ho pensato bene di sfruttar la notte per vedere un grandissimo film, thriller e dramma esistenziale al tempo stesso, complicato fino all’inverosimile dal doppio montaggio e da salti di sequenza continui: “Memento” di Christopher Nolan (2000), opera seconda di un futuro mago del botteghino, capace negli anni a venire di rigenerare perfino un mito come Batman. Del Nolan che ci restituisce in celluloide un fumetto, esasperandone i toni crepuscolari e decadenti, ho apprezzato molte cose ma due in particolare gli rendono merito: A) aver descritto Gotham City pensando a Blade Runner B) aver scelto come interprete Christian Bale. Quanto a “Memento” tutt’altra storia. Solo una nota: andatelo a vedere.
E poi, come ho fatto io, pensate a un vino. Dalle tinte scure, denso, ossessivo, dalla dinamica circolare, ma sempre centrato su una dominante: nel film era il filo della memoria, riannodato a ogni amnesia del protagonista. Per il vino fate un po’ voi. Cannonau, o canonau come suggeriscono alcuni, è uva che sa di storia e di terra, di uomini e di scelte; ne avrò provate in vino mille versioni differenti: colorato, caldo e tutto frutto; rubino poco intenso, parco in alcol e vibrante di minerali; estremo nelle sue varianti naturali, “imperfette” ed emozionanti; solitario o in blend. Insomma: un autentico microcosmo. Ma il Cannonau passito è sciarada vera, amarlo o odiarlo è questione di dettagli, sfumature espressive e zero virgola di residuo zuccherino. Non è che sia abituato a comprarne vagonate. Mea culpa.
Verso nel bicchiere un balsamo viola scurissimo. Non accostatelo al naso prima di aver terminato l’esame visivo, altrimenti non riuscirete più a pensare ad altro: un esordio intenso di bacche di mirto e corteccia di china, legno di ginepro, alloro e timo, pepe nero, foglie secche umide. La mineralità sa di cenere e caminetto; sentori ancestrali e ricordi delle cucine e dei cortili di una volta: olive nere tostate, crosta di pane cotto a legna, pomodoro sui graticci e origano secco. Chiusura mentolata, avvolgente e lunghissima. In bocca è un concentrato mediterraneo, coerente fino all’ossessione per un sorso dallo sviluppo circolare, con temi che si ripropongono anche se mai esattamente identici a sé stessi. Un po’ come nel film. Caldo al sorso, svela rispondenza gusto olfattiva incardinata su ricordi di sottobosco e varietà spontanee, dalle bacche edibili al corbezzolo, dalle carrube alla mela cotogna. Profuma anche in bocca – se è lecito lavorare di paradosso con la lingua italiana – di erbe aromatiche, in evoluzione dal fresco al secco. Dinamico oltre ogni dire per una percezione di zucchero residuo non soverchiante e alcol sugli scudi (16%), contrapposti a tannini in bella mostra ma già integrati. Appassimento in pianta e sosta in legno per quest’intensissima brezza barbaricina. “Avra”, appunto.
Splendido complemento del pan di sapa. Per chi volesse azzardare, memorabile in abbinamento a un opulento dolce salentino, il fruttone, magari appena glassato con un velo di cioccolato al latte.