Perda Pintà 2013 vs Perda Pintà sulle Bucce 2012

Perda Pintà 2013 vs Perda Pintà sulle Bucce 2012

da | 15 Apr, 2016

La presenza del vitigno granaccia (o granazza) ha da tempo immemore caratterizzato le vigne dell’areale barbaricino, ove qualche filare era sempre coltivato e riservato per la tradizionale produzione di vini bianchi dolci da uve passite o surmature.

Quando si va in Barbagia, nei paesi produttori di vino non è raro imbattersi in vini bianchi prodotti con un vitigno particolare che, a seconda delle inflessioni dialettali, assume il nome di granaccia o di granazza. Molti lo confondevano, anche per assonanza, con la ben più famosa vernaccia, ma il ricercatore dell’Agris Gianni Lovicu, che con altri esperti ha condotto uno studio ampelografico catalogando ben 150 vitigni autoctoni in Sardegna, ha sconfessato questa tesi definendo sa granazza un vitigno autoctono, con caratteristiche genetiche tutte sue che lo differenziano nettamente dalla vernaccia.

La presenza di questo vitigno ha da tempo immemore caratterizzato le vigne dell’areale barbaricino, ove qualche filare era sempre coltivato e riservato per la tradizionale produzione di vini bianchi dolci da uve passite o surmature, spesso destinati al consumo locale in occasione delle festività o di altre particolari ricorrenze. Un po’ tutti cercano di attribuirsi una forma di primogenitura nella scoperta di questo vitigno, ma pochi hanno provato a produrlo e imbottigliarlo per immetterlo in un mercato più ampio.

Uno dei produttori a cui va sicuramente ascritto questo merito è l’azienda Giuseppe Sedilesu di Mamoiada che lo vinifica in purezza per produrne due versioni strettamente correlate, ma profondamente diverse: il Perda Pintà e il Perda Pintà sulle Bucce.

Il Perda Pintà viene prodotto con la tradizionale tecnica di vinificazione in bianco; alla pressatura soffice segue l’immissione del mosto fiore in barrique usate ove avviene la fermentazione con lieviti indigeni e un successivo affinamento del vino per un periodo che varia da 8 a 12 mesi.

Il Perda Pintà sulle Bucce, invece, è un bianco macerativo quindi, a seguito della pressatura soffice, viene condotta una fermentazione spontanea a contatto con le vinacce per circa una settimana. Dopo la sgrondatura il vino è sottoposto ad un lungo affinamento in barrique, circa 24 mesi, prima di passare quasi un altro anno in bottiglia .

I vini che ne risultano sono molto differenti benché figli della stessa materia prima.

Perda Pintà 2013. Splendido il colore dorato, quasi brillante, con molteplici riflessi vivacissimi che rendono il vino già bello nel calice! Il vino pesa, si attacca alle pareti del cristallo con lacrime che colano lentissime formando numerosi archetti fitti che tradiscono una rilevante generosità alcolica (15,5% Vol.).

È timido a rivelarsi, con un’intensità non prorompente, direi umile e discreta, ma con una complessità che a ogni olfazione propone nuove scoperte. Apre con eleganti note di mandorla e marzapane, poi l’elicriso, la margherita, altri fiori di campo e fieno; bellissimi i sentori fruttati, con gli agrumi, l’ananas e albicocca. Poi un corredo di erbe aromatiche della macchia mediterranea arricchite da piacevoli sentori minerali di pietre frantumate.

Al gusto è setoso, glicerico, con un leggero residuo zuccherino che lo rende molto piacevole. Ma la vera forza del vino è la controparte delle durezze con una bella freschezza e una sapidità che prolungano la persistenza gusto-olfattiva restituendo un vino affascinante e di grande beva.

Provato con delle casadinas salate è risultato perfetto; da abbinare a preparazioni di pesce complesse e carni bianche.

Perda Pintà sulle Bucce 2012. Qui sembra di stare di fronte a qualcosa di diverso e insolito! Il colore carico, tra l’ambra e il topazio, pone pienamente questo vino nella categoria, non ancora ufficiale, degli orange wines. È scuro, ma vivace, cristallino con bellissimi riflessi e una generosa consistenza.

Al naso è subito intenso e giocato su una molteplicità di sfumature odorose che lo imparentano col Perda Pintà, ma che ne demarcano la maggiore evoluzione. L’incipit è improntato su note speziate, fruttate e tostate: anice stellato, mandorla tostata, nocciola e tabacco biondo. I fruttati si ripresentano coi sentori delle scorze di agrumi candite e l’albicocca disidratata; poi avanzano le erbe aromatiche, il rosmarino e il timo, e note eteree di incenso e resina su una interessante chiusura iodata. Un’impronta olfattiva degna di un importante distillato (Cognac o Armagnac).

L’impatto gustativo è disarmante: il vino è indiscutibilmente secco, caldo e sapido con una bella presenza acida a rinfrescare la degustazione. Poi è tannico: da far invidia a molti rossi!

Rimane una persistenza impressionante con la bocca che si asciuga subito e richiede immediatamente un secondo sorso. Vino inusuale, non facile (15,5% Vol.), di grande qualità, di quelli che ti incantano o ti incutono timore; noi ne siamo rimasti ammaliati e sedotti.

Da provare con tocchetti di bottarga e ricotta secca, con formaggi stagionati e su preparazioni complesse a base di cacciagione da piuma.