Altitudini e prospettive diverse per l’uva più coltivata sull’isola, quella che più incarna la Sardegna del vino e la sua storia identitaria, se così ci piace pensarla.
Viticoltura ancestrale, con tutto il fascino che si porta dietro una presa di posizione come questa: scommettere sulla capacità delle viti di fortificarsi da sole se ben acclimatate, con l’intento di mantenere pure sin dalle radici le specie autoctone, e non solo perché le condizioni pedoclimatiche sono favorevoli.
Altitudini e prospettive diverse per l’uva più coltivata sull’isola, quella che più incarna la Sardegna del vino e la sua storia identitaria, se così ci piace pensarla.
Outsider franchi di piede
Gianpaolo Paddeu indica un ceppo possente di canonau, come direbbero qui. Ha più di sessant’anni, è su piede franco. A poche decine di metri dalla vigna si snoda la bella panoramica che da Mamoiada porta a Orgosolo. Ci troviamo a circa 750 metri di altitudine, l’aria è frizzante e l’esposizione aperta alle ore più calde della giornata. Terreno granitico e intrusioni di quarzo in altre sezioni della vigna.
Passiamo tra i filari ad alberello. Non resisto: prendo un pugno di terra che si sbriciola come un amaretto dimenticato nella credenza. Qui si genera l‘escursione termica che, sappiamo, è cosa buona per il corredo aromatico del nostro vino. Tutto piede franco, tiene a precisare Paddeu, che aggiunge: “Le viti sono sane e non hanno bisogno di particolari trattamenti. Nelle fallanze adotto il sistema a propaggine e come puoi vedere attecchiscono bene”.
Viticoltura ancestrale, con tutto il fascino che si porta dietro una presa di posizione come questa: scommettere sulla capacità delle viti di fortificarsi da sole se ben acclimatate, con l’intento di mantenere pure sin dalle radici le specie autoctone, e non solo perché le condizioni pedoclimatiche sono favorevoli. In cantina intanto assaggiamo Minneddu: un sorso potente che non ha timore di suscitare brusii in sala per il naso non nitidissimo, ma con una bella personalità. Fruttato certo, ma anche terragno e viscerale. 16 gradi di rubino impenetrabile.
Paddeu mi mostra poi le bottiglie di quel Perda Rubia di Mereu, ormai diventato un Cannonau culto: dal 1949 niente viti americane, niente trattamenti di sintesi e, come si legge nella pagina del sito della cantina di Cardedu, “attento rispetto del suo equilibrio biologico”, tutto questo in Ogliastra, altra zona classica del Cannonau.
Bimembri e innovativi
E in Ogliastra restiamo, fra Baunei e Lotzorai. Il mare è lì, lo vedi e lo senti nella brezza che spira. Roberto Pusole mi conduce in una piccola vigna del ’54. Questo cannonau dà il contributo al suo elegante rosato. Viti bimembri allevate ad alberello, innestate molto probabilmente sulla varietà rupestris.
Lui, giovane enologo che conduce le vigne con il fratello, ci ricorda come quella tecnica agronomica abbia salvato la viticoltura isolana e ancor prima quella europea post-fillosserica. “Adottiamo nelle nostre vigne la selezione massale (n.d.r. innesti con tralci di vite provenienti dal loro stesso vigneto). Mio babbo faceva così, anche mio nonno. Oggi per i nostri nuovi impianti scegliamo il cordone speronato. Un’evoluzione rispetto al tradizionale alberello”, mi dice Roberto. Anche qui solo vitigni autoctoni e solo interventi minimi in vigna, rispettosi del ciclo naturale della vite.
Pusole sottolinea come, dal punto di vista organolettico, non ci siano ragioni scientifiche che possano identificare un vino da vite su piede franco o innestata, tante sono le varianti in gioco, oltre al suo apparato radicale. Per lui conta invece la coerenza produttiva. Ovvero, fatta una scelta di condotta, questa dovrebbe governare tutte le fasi di produzione, dalla vigna alla cantina. Intanto, i suoi vini oggi sono sotto l’occhio di critici e appassionati. Rinvio i lettori alle belle note del nostro Gianluca Rossetti sul Pusole 2014: un Cannonau che ci sorprende con un abito poco pigmentato e dal palato godibilissimo con i suoi 13 gradi. Che sia questa la vera versione locale, quella conosciuta dai nonni Pusole?
Francamente sorprendenti
Gallura, comune di Monti, altitudine 350 metri. Il friulano Roberto Gariup, enologo delle tenute Masone Mannu, illustra la storia di questa vallata assolata dove soffiano il maestrale che asciuga e i venti marini portatori di salinità. Fra i filari delimitati dalle sugherete, una porzione di vigna è destinata al cannonau su piede franco, con ceppi di 15 anni provenienti, guarda un po’, da Mamoiada.
Nasce così Zojosu. Un Cannonau in purezza, espressione direi didattica di questo vitigno fuori dalla zona classica Nuorese/Ogliastra. Forse un giorno si troveranno solidi riscontri scientifici che dimostreranno quanto un Cannonau su piede franco abbia qualcosa di veramente peculiare da dire in degustazione, oltre alle ragioni etiche dell’autoctono fino alle radici.
Non mi soffermo qui sulla genetica largamente discussa dagli ampelografi per le origini tutte isolane o meno di questo vitigno. Intanto, questo piccolo viaggio lungo la sottile linea franca è stato un appassionante pretesto per scoprire luoghi e produttori che operano benevolmente posseduti dal gene della passione vinicola.
Bisogna andarli a trovare per scoprire un Cannonau maturato in damigiana offertomi da Paddeu: affascinante esempio di evoluzione ossidativa che ricorda i vins doux naturels da grenache in Roussillon, ma senza addizione di alcol. Un Cannonau bianco rarissimo, frutto di un incrocio da seme con un bianco autoctono raccontatomi da Roberto Pusole, di cui certamente sentiremo parlare ancora.
Infine l’intruso, ma non troppo: un Vermentino fermentato sulle bucce per più di dieci giorni, proposto dalla vasca al calice da Roberto Gariup. Un corredo di aromi e una struttura per cui forse, più che aspettare il lavoro dell’enologo, ancora in progress, servirebbe maggiore curiosità da parte dei palati habitué della DOCG gallurese.
Del resto, nella terra di Gariup, il Friuli, sono nati grandi vini da vignaioli “eretici”, oggi guru dell’enologia italiana, che hanno sfidato le regole seguendo prima di tutto le loro intuizioni e il loro coraggio, senza mai perdere di vista il carattere delle loro splendide viti autoctone.