Vitigno, terroir, storia e amore dei produttori per la vigna: queste le pietre angolari su cui si fonda una struttura imponente come il Chianti Classico, un’area geografica – e un vino – che, affondando le radici nella memoria di un territorio nobile come quello racchiuso tra le province di Firenze e Siena, si propone ai giorni nostri come un portabandiera della produzione vinicola di qualità.
Vitigno, terroir, storia e amore dei produttori per la vigna: queste le pietre angolari su cui si fonda una struttura imponente come il Chianti Classico, un’area geografica – e un vino – che, affondando le radici nella memoria di un territorio nobile come quello racchiuso tra le province di Firenze e Siena, si propone ai giorni nostri come un portabandiera della produzione vinicola di qualità.
E il Chianti Classico ha avuto un’importante vetrina nel Seminario organizzato lo scorso 15 novembre dalla Delegazione AIS di Sassari in collaborazione con il Consorzio del “Gallo Nero” e affidato uno dei suoi più autorevoli e appassionati cantori, Massimo Castellani, autentico “Ambasciatore del Chianti”, illustre relatore con un curriculum che occuperebbe lo spazio di tutto l’articolo e dal quale, per comodità, estrapoliamo giusto un paio di lemmi: Delegato AIS di Firenze e Chevalier du Tastevin.
Proprio quest’anno, tra l’altro, ricorre il 300° anniversario del Decreto Granducale di Cosimo III° de’ Medici, vero e proprio atto fondativo della prima Denominazione d’origine al mondo, nel quale vi fu il primo inserimento della Toscana in un ambito internazionalista ed il primo tentativo di dare un nome “geografico” ai vini prodotti nel territorio di Firenze, creando una disciplina legislativa che dettasse le norme di produzione.
Nella prima metà dell’800 il Barone Bettino Ricasoli diede inizio ad una serie di esperimenti nei vigneti di Brolio che portarono, nel 1872, alla codifica dell’uvaggio del Chianti, operata in collaborazione con Cesare Studiati dell’Università di Pisa, che prevedeva l’utilizzo combinato dei vitigni sangiovese, canaiolo e malvasia.
Risale al 1924 la fondazione sotto le celebri insegne del “Gallo Nero” del Consorzio, il primo in Italia, con la storica sede ubicata in Piazza della Signoria, dove si trova ancora oggi.
Nel 1932 vi fu l’allargamento dell’areale di produzione del Chianti, ratificato poi dal disciplinare della DOC, istituita nel 1967. Il 1984 fu un anno epocale: oltre all’istituzione della DOCG, vi fu l’individuazione della sottozona Chianti Classico, che divenne poi DOCG autonoma nel 1996, con un disciplinare di produzione che escludeva l’utilizzo delle uve a bacca bianca. Dal 2010 non vi è più alcuna sovrapposizione tra le DOCG Chianti e Chianti Classico che riguardano quindi areali ben distinti e delineati. Risale invece al 2013 l’istituzione della tipologia Gran Selezione, attuale vertice della piramide qualitativa, che in un certo senso rappresenta la “firma del sangiovese”, andando a completare un disciplinare già di per sé orientato alla qualità e alla valorizzazione di questo nobile vitigno.
Per quanto riguarda il terroir, le condizioni climatiche di tipo continentale, il paesaggio collinare articolato in diverse altitudini e un suolo ricco – con la presenza predominante di scisti argillosi (galestro) intervallata da alberese e arenarie – rendono l’areale del Chianti Classico una delle regione più vocate per la produzione di vini di qualità.
In merito all’amore dei produttori per la vigna, è meglio lasciar parlare le degustazioni.
Si è partiti con il Chianti Classico Gran Selezione DOCG “Badia a Passignano” 2011 – Antinori, ottenuto dai vigneti ubicati a San Casciano Val di Pesa. A una base colorante importante si affianca un profilo olfattivo caratterizzato da note scure ma dal profumo dolce. Il frutto connota l’impatto iniziale, lasciando poi spazio ai classici toni balsamici e a decise note ematiche e speziate. L’ingresso in bocca è potente, con una grande base alcolica e un tannino esuberante, con un grip centrale asciugante, potente ma non vegetale, che sfuma in un finale di liquirizia. In definitiva, un valido esempio dei vini di San Casciano, caratterizzati dall’equilibrio ottenuto principalmente tra le componenti morbide e sapide.
È stato quindi il turno del Chianti Classico Gran Selezione DOCG “La Prima” 2013 – Castello Vicchiomaggio. Una grande vigna inserita nel comune di Greve, su un territorio ricco di galestro. Un vino che si presenta con un rubino di media intensità e si offre alla degustazione con grande pulizia e precisione dei caratteri. Il tratto femminile, tipico del territorio di Greve, si mostra all’olfatto delicato, elegante ed introverso, molto controllato nel limitare le esuberanze terziarie, mantenendo in primo piano note floreali e fruttate di una finezza esemplare. Anche al palato si conferma sottile, elegante, con una dinamica gustativa marcata dalla freschezza che disegna una silhouette di grande bevibilità e mirabile persistenza.
Dopo due esempi di sangiovese in purezza, con il Chianti Classico Gran Selezione DOCG “Vigna del Sorbo” 2012 – Fontodi troviamo, seppur in minima parte (10%), la presenza di un vitigno internazionale, il cabernet sauvignon. I vigneti si trovano nella cosiddetta Conca d’oro, a Panzano (in futuro diventerà menzione geografica), nel comune di Greve. La veste cromatica densa e fitta sui toni del rubino fa subito capire che abbiamo a che fare con un vino forte, maschile. L’olfatto è imperniato sul monolite del frutto, cui fanno contorno una leggera speziatura e una raffinata balsamicità. L’ingresso in bocca presenta ancora il frutto, ma l’assaggio si incardina subito su un tannino esemplare, centrale ma dinamico che, nel finale, lascia spazio ad una suadente sapidità. Vino potente, maschile, si diceva, ma con un’eleganza aristocratica.
Con il Chianti Classico Gran Selezione DOCG “Il Solatio” 2013 – Castello di Albola ci spostiamo nel territorio di Radda. Una vigna impiantata a 600 metri sul livello del mare, ricavata all’interno di un bosco e con pendenze straordinarie, su un suolo sassoso. Le premesse per un prodotto non banale ci sono tutte: e infatti abbiamo di fronte un vino cerebrale che si rivela lentissimamente, quasi borgognone, fin dal suo presentarsi con un granato trasparente e sottile. Un susseguirsi di raffinati sentori terziari fanno da preludio al frutto, che emerge in un secondo momento ma con una variegata articolazione, trovando in chiusura un sigillo balsamico. Al gusto esordisce una nota fresca e agrumata, la progressione gustativa procede in un sottile equilibrio che diventa esplosivo nel finale sapido.
Dopo quattro Gran selezione si passa al Chianti Classico Riserva DOCG 2013 – Val delle Corti. Azienda piccola, un vigneto di quattro ettari impiantato sui sassi, all’interno di un bosco. Il navigatore ci avverte che ci troviamo a Radda, la degustazione ci dice invece che ci troviamo agli antipodi rispetto all’idea del prodotto ruffiano. Un vino che rispecchia la personalità quasi imperfetta che talvolta connota il sangiovese, ricca di chiaroscuri. Qui il vitigno (vinificato – ça va sans dire – in purezza) mostra la sua natura più terragna: frutto, sentori tostati, certo, ma anche materia ematica, carnosa. In bocca è scontroso ma dinamico, compone il ritratto dei sangiovese più tradizionalisti grazie anche all’utilizzo di legni vecchi. Un vino molto territoriale, “molto Radda”.
Con il Chianti Classico Gran Selezione DOCG “San Lorenzo” 2013 – Castello di Ama ci troviamo sempre nel territorio di Gaiole, anche se, dal punto di vista stilistico, la virata è davvero notevole. Qui la stella polare è chiaramente Bordeaux, e non solo per la presenza nel blend di una piccola percentuale di merlot (oltre alla malvasia nera). Un vino toscano nell’anima, ma con un’apertura bordolese. Denota vivace gioventù, fin dal colore, unitamente a grandissima precisione e pulizia. L’olfatto si incardina sul frutto legato alla speziatura di legno di cedro, chiudendo lo sviluppo aromatico con un’intrigante nota balsamica. In bocca torna prepotente l’impronta bordolese, col frutto incorniciato dal timbro balsamico del tannino e l’acidità controllata con precisione millimetrica. Un vino di grande nobiltà, con una bevibilità che crea dipendenza.
La tappa successiva è Poggibonsi, con il Chianti Classico Gran Selezione DOCG “Etichetta storica” 2011 – Ormanni. Un’azienda anch’essa storica, tra le fondatrici del Consorzio, che per anni ha goduto della collaborazione di un grande enologo come Giulio Gambelli, figura mitica per il mondo del vino toscano. Volendo proseguire nella metafora francese, qui si respira aria di Borgogna, seppur con divagazioni siculo-piemontesi. La veste cromatica tra il granato e l’aranciato, infatti, richiama il Gattinara e l’olfatto marcato da sentori ematici, materici e da una terziarizzazione evoluta riporta alla mente le espressioni del nebbiolo o del nerello mascalese, grazie alla nota sulfurea. Mentre prosegue l’esame olfattivo si delinea la figura di un vino contadino, verace, impreciso ma con personalità. Al gusto ha un ingresso sottile, sorretto da un’acidità mirabile, per poi crescere verso un finale esplosivo come i grandi pinot noir borgognoni. Una morbidezza che conquista, in un contesto di grande equilibrio e bevibilità. La maturità raggiunta non è un punto, ma una linea continua che accompagnerà il vino per anni, grazie al sostegno dell’acidità. Qualche punta d’enfasi, e lo spazio dedicato alla descrizione, rivelano quale sia stato a parere di chi scrive il top della serata.
Ma è tempo di andare avanti, verso Castellina, terra di vini potenti come il Chianti Classico Riserva DOCG “Montornello” 2013 – Bibbiano. Il colore rubino carico e vivace introduce un olfatto intenso, pieno, imperniato sulla pariglia di frutto e sentori balsamici, con il legno perfettamente integrato che supporta senza sovrastare. Potenza, si diceva, per un vino molto determinato che fa sorgere il dubbio che il clone utilizzato sia di sangiovese grosso (quello del Brunello, per intenderci). In bocca è potente, con un tannino centrale, pieno, verticale, quasi acuminato e, nonostante la sua opulenza, chiude con un rinfrescante finale mentolato.
In chiusura, due vini provenienti da Castelnuovo Berardenga. Il primo è il Chianti Classico Gran Selezione DOCG “Mocenni Particella 89” 2012 – Bindi Sergardi. L’impatto olfattivo patisce inizialmente l’annata calda, mostrando quasi un frutto in esaurimento, ma si sviluppa poi sorprendentemente in maniera decisa dopo qualche rotazione del bicchiere. E allora alla tostatura e al tabacco di sigaro toscano si affianca una sinfonia fruttata in crescendo che culmina in un definito sentore di amarena Fabbri. Al gusto è spiazzante: a fronte di un naso opulento, si mostra sottile, femminile col suo tannino perfetto ed elegante. Sintetizzando in tre parole: personalità, lunghezza, equilibrio.
E non si poteva chiudere che con l’ultima vigna del Chianti Classico, all’estremità sud-orientale di Castelnuovo Berardenga e di tutto l’areale, da cui proviene il Chianti Classico Riserva DOCG “Rancia” 2012 – Felsina. L’esordio al naso è marcato da sentori terziari molto potenti ma delicati: dal caffè alla pasta d’acciughe, dalla liquirizia al cioccolato. Subentra poi il frutto, sempre accompagnato dalle spezie e da una delicatissima nota boisé. In bocca è una bomba, puro Castelnuovo Berardenga. Tannino straordinario, percettibile subito e in una progressione di forte personalità verso una chiusura lunghissima, articolata, quasi una “poesia aromatica”.
Una ricca selezione di eccellenze toscane, salumi e formaggi di qualità assoluta, ha consentito poi ai partecipanti di sperimentare riusciti ed appaganti abbinamenti.
In conclusione, mi sia consentita una nota forse un po’ autoreferenziale: è però impossibile terminare la narrazione senza ricordare l’efficientissima macchina organizzativa della Delegazione AIS di Sassari che, dalla fase preparatoria alla logistica, dal supporto tecnico al prefetto servizio in sala, ha reso possibile la piena riuscita della serata. E allo stesso tempo, un grandissimo ringraziamento deve andare al Consorzio del Chianti Classico per averci regalato un’opportunità di crescita e approfondimento come questa.