Spiace dover parlare di un’azienda come Villa Franciacorta proprio nei giorni in cui, a causa del virus che sta drammaticamente investendo il pianeta, è scomparso il fondatore, Alessandro Bianchi, una delle personalità più eminenti della Franciacorta e del panorama enologico nazionale.

Alessandro Bianchi
Un’eredità importante, quella di Alessandro Bianchi, che verrà raccolta e rafforzata dalla figlia Roberta che, insieme al marito Paolo, già da anni porta avanti al meglio quest’azienda nata nel 1960 per volontà dell’allora ventiseienne fondatore. Un’azienda che in tutti questi anni ha dato lustro al borgo omonimo, Villa Franciacorta, ubicato nel comune di Monticelli Brusati. I 37 ettari di vigneto dimorano quasi interamente nel territorio comunale e la sede aziendale si trova esattamente ai piedi della collina Madonna della Rosa che all’esterno ospita i filari terrazzati del cru Gradoni (da cui si ottiene l’omonimo vino rosso che si basa sul classico taglio bordolese) mentre al suo interno “contiene” i 2700 mq della cantina, all’interno della quale si svolge l’intera filiera produttiva, dalla pigiatura delle uve, alla vinificazione per arrivare all’affinamento in vasche d’acciaio o botti. Ma qui ci troviamo in una delle patrie elettive della spumantistica, per cui la maggior parte della produzione aziendale è orientata in questa direzione, tanto che nelle silenziosissime sale sotterranee dimorano ben un milione di bottiglie – prima nelle cataste, poi nelle pupitre – destinate a diventare Franciacorta DOCG. Un elemento caratterizzante la produzione aziendale è la scelta di imbottigliare solo Franciacorta millesimati, per rispecchiare al meglio nelle bottiglie il territorio e l’andamento climatico delle singole annate. Altra scelta vincente è stata quella di catalogare e selezionare, attraverso la collaborazione con importanti istituti di ricerca, i lieviti autoctoni da utilizzare per la vinificazione. Nello scorso mese di novembre ho avuto modo di visitare l’azienda, insieme a tutta la folta rappresentanza della Delegazione AIS di Sassari, e ho potuto vedere da vicino una realtà produttiva in cui si respira un disteso clima familiare e si propongono spumanti di altissimo livello. Abbiamo avuto modo di degustare l’intera gamma, dal Brut “base” (per modo di dire, perché comunque sosta sui lieviti ben 36 mesi, “minimo sindacale” dell’intera produzione), fino alle cuvée più rare e prestigiose. Qualche giorno fa ho avuto modo di degustare con attenzione uno dei vini che già lo scorso novembre mi avevano colpito maggiormente (insieme al Mon Satèn e al Pas Dosé Diamant), il Franciacorta Rosé Pas Dosé Bokè Noir 2015.
Ottenuto interamente da uve pinot nero (per il 95% vinificato in bianco, mentre la parte restante viene sottoposta ad una macerazione di dieci ore alla temperatura di 8°) coltivate su terreni argillosi, questo vino fermenta in acciaio e poi, dalla primavera successiva alla vendemmia, matura per almeno 36 mesi nelle cantine interrate.
Si presenta con un affascinante colore rosa antico, vivace e compatto, e appena versato nel bicchiere mette in mostra un’effervescenza finissima e continua. L’impatto olfattivo è ricco e deciso, propone in sequenza frutti di bosco, pompelmo rosa ed erbe aromatiche che fanno da contorno alla mineralità di roccia e a raffinati sentori di pasta lievitata. Chiude l’analisi olfattiva un leggero ma sorprendente ricordo balsamico.
L’assaggio è pieno, invitante e, nonostante la fisiologica “verticalità” (2 g/l di residuo zuccherino), la dinamica gustativa si muove sinuosa in perfetto equilibrio grazie a una carbonica vellutata e appagante. Chiude con una lunga scia sapida e piacevolissimi ritorni di frutti di bosco. Uno spumante da pasto, non solo da aperitivo, in grado di accompagnare con sicurezza piatti di pesce elaborati e primi piatti dai condimenti decisi.