Il Torchiato di Fregona

Il Torchiato di Fregona

Ci troviamo in Veneto, più precisamente in provincia di Treviso, dove insiste la DOCG Colli di Conegliano, istituita nel 2011. È una delle poche DOCG che prevedono diverse tipologie di vini, sia bianchi che rossi, secchi e dolci. Include solo vini fermi, però, a differenza della più famosa DOCG Conegliano Valdobbiadene Prosecco, meno estesa e in essa quasi interamente contenuta. A distanza di poco più di una decina di chilometri tra di loro si trovano Refrontolo, dove vede la luce il passito di marzemino, un rosso dolce davvero interessante, e Fregona con il suo Torchiato, un bianco dolce le cui caratteristiche organolettiche e produttive ricordano quelle del Vin Santo. Il disciplinare del Torchiato di Fregona include nell’area di produzione anche i limitrofi comuni di Sarmede e Cappella Maggiore.

Le storie dei vini dolci vengono spesso raccontate in varie versioni, talvolta confuse e imprecise che si perdono nella notte dei tempi, e questo vino non fa eccezione. Una di queste storie racconta che nel ‘600, in un’annata particolarmente inclemente e con un’uva che non maturava mai, un contadino, sperando che essa potesse maturare nel suo fruttaio, la lasciò appesa fino alla primavera successiva. Un pio desiderio, chiaramente, poiché l’uva è un frutto aclimaterico, ma il lungo tempo passato nel fruttaio aveva aiutato le bacche a concentrare il poco zucchero presente, permettendo di ricavare un mosto dolcissimo col quale l’anonimo contadino ottenne un vino delizioso. Vera o inventata che sia, la storia mette in risalto le peculiarità di questa area: le particolari caratteristiche orografiche e le favorevoli condizioni climatiche che consentono di ottenere uve sane e di condurre un appassimento regolare.

Le colline che circondano Fregona sono inserite nell’anfiteatro morenico di Vittorio Veneto e possiedono una conformazione particolare. È come se in un’epoca ancestrale un gigante le avesse incise per gioco con le proprie dita, dall’alto verso il basso, come se fossero piccole dune di sabbia, creando numerose valli. Mettendo da parte questa immagine fantasiosa che tuttavia rende l’idea, oggi sappiamo che i responsabili della particolare morfologia sono i ghiacciai. Essi, alla fine della glaciazione del Würmiano, si sono ritirati e nel loro maestoso e lento spostamento hanno lasciato profonde scanalature nelle colline. Solchi fondamentali per la circolazione di aria, un po’ come le combe in Borgogna, creando così i presupposti per il particolare microclima di questa zona, costituito da un equilibrato mix di clima mite e correnti notturne di aria fredda che scendono dalla montagna incanalate dalle valli.

Qui le temperature medie sono superiori a quelle delle zone limitrofe e come fattore positivo aggiuntivo le piogge sono abbondanti in primavera, proprio durante la fioritura, e piuttosto contenute in autunno, prima della vendemmia. Infine, elemento fondamentale, sono da sottolineare i bassi livelli di umidità registrati durante la delicata fase di appassimento nei fruttai. I terreni sono argillosi e ricchi di calcare e arenaria, nonché di ciottoli di origine alluvionale, tutti ingredienti importanti per la produzione di vini eleganti e di carattere. Qui è molto diffusa la “piera dolza”, la pietra tenera nel dialetto locale, ricca di calcare, da sempre utilizzata da scultori e architetti per ornare gli edifici importanti. Una interessante attrazione da visitare se si viene da queste parti è costituita dalle grotte del Caglieron, situate a pochi chilometri da Fregona. Esse comprendono una serie pittoresca di antri di origine sia naturale, scavati dal torrente omonimo, che artificiale, scavati ad arte dall’uomo per l’estrazione della pietra. La conformazione del territorio fa sì che i vigneti siano parcellizzati, spesso con filari singoli che insistono su un terreno conteso con l’adiacente bosco. Nei primi del ‘900 i filari con le viti condividevano il terreno con la produzione di erbaggio per i bovini e con i gelsi per i bachi da seta, similmente al Bellussera, metodo di allevamento della vite che si basa su un sistema a raggi, ideato dai fratelli Bellussi alla fine dell’800, tipico sempre di questa regione.

Oggi, per modificate esigenze, i vigneti prevedono esclusivamente le viti, sono ordinati e generalmente organizzati a girapoggio nei tratti a maggiore pendenza e rittochino nei declivi più dolci. Le viti vengono reimpiantate regolarmente con un tasso massimo annuo del 5%, in modo da preservare la storicità e consentendo allo stesso tempo la proiezione verso il futuro. Le uve utilizzate per il Torchiato di Fregona sono glera, boschera e verdiso e da disciplinare devono essere presenti ciascuna in quantità minime prescritte, con un totale non inferiore all’85%, anche se poi la maggior parte dei produttori utilizza praticamente solo i tre vitigni principali. La prima di queste uve è rappresentata dalla glera, la stessa utilizzata per il Prosecco (che in questa area non è DOCG), la quale deve essere presente per almeno il 30% e ha il compito di conferire il grado zuccherino e la tipicità fruttata. Segue poi la boschera, con un minimo del 25%, un vitigno che predilige i terreni sciolti, tollera il freddo, sviluppa grappoli spargoli, possiede una buccia spessa e con le sue qualità aromatiche conferisce tipicità al vino. Con una partecipazione minima del 20% completa la ricetta il verdiso, che contribuisce con la sua acidità, il buon grado zuccherino e le discrete qualità aromatiche all’equilibrio generale. E non dimentichiamo il notevole contributo della Botrytis cinerea (o muffa nobile), che spesso fa capolino tra gli acini. L’uva viene vendemmiata quando è perfettamente matura, talvolta in leggero anticipo per preservarne l’acidità, con una raccolta rigorosamente manuale. Ciò consente di selezionare e raccogliere i grappoli più spargoli e sani che verranno messi ad appassire nei fruttai.

Qui le uve iniziano a disidratarsi grazie a un sapiente gioco, un tempo governato a mano ma oggi controllato dal computer, di apertura e chiusura delle finestre per regolare l’umidità di giorno e di notte e con l’ausilio dei ventilatori. Un processo che ricorda molto la fase di cura nelle casas de tabaco a Cuba, nelle quali temperatura e umidità sono fondamentali per la prima fase di trasformazione delle foglie di tabacco appena raccolte. E al pari di queste ultime, anche gli acini di uva subiscono una complessa trasformazione chimico-fisica. È straordinario infatti il fenomeno per il quale, anche dopo la recisione del tralcio, per un certo tempo gli acini continuano a vivere e a respirare, modificando il metabolismo e trasformando le proprie sostanze, arricchendo in questo modo il patrimonio aromatico. Alcuni acini hanno sulla propria buccia, come anticipato precedentemente, la Botrytis, con un ulteriore arricchimento di sostanze aromatiche. La tradizione fissa nel periodo pasquale il recupero delle uve, dopo circa sei mesi. Trascorso questo periodo la boschera e il verdiso sono capaci di concentrare gli zuccheri anche oltre il 50% mentre la glera può facilmente superare il 100%, divenendo simile all’uva passa.

La becanea

A questo punto segue la tradizionale diraspatura manuale, necessaria per selezionare gli acini migliori ed eliminare quelli danneggiati o con muffa grigia. Un tempo questa operazione costituiva un evento vissuto dalla famiglia come una grande festa, un’occasione per riunirsi tutti insieme intorno a un tavolo, dai bambini agli anziani, ed eseguire l’operazione in allegria. Dopo la cernita si passa alla fase successiva, la torchiatura per ottenere il mosto. Dopo il lungo appassimento le uve sono talmente disidratate e appassite che è necessario pigiarle con forti pressioni. Storicamente, ma anche oggi, le uve venivano infatti pressate in più riprese per estrarre ogni preziosa stilla, e così si spiega l’origine del nome “torchiato”.

Il torchio

Non c’è alcun rischio che i vinaccioli, sottoposti all’intenso stress meccanico, si possano danneggiare rilasciando sentori sgradevoli. All’interno dell’acino infatti la polpa, pur se inaridita dall’appassimento, ripartisce e scarica le forze alla stregua di un guscio salvaguardando così i vinaccioli e il loro contenuto. Nel passato, per facilitare la torchiatura si utilizzava una specie di mazza, la becanea, per ammorbidire le uve avvizzite prima della pressatura vera e propria. Il disciplinare specifica una resa massima del 25% ma spesso il rapporto mosto/uva si assesta intorno al 20%. Proprio così, da cento chilogrammi di uva si ottengono solo venti litri di mosto, che una volta pronto viene lasciato decantare per privarlo delle parti più grossolane. Diversi lieviti specializzati si alterneranno nei successivi mesi per portare avanti la trasformazione in vino, a seconda del periodo. La prima fermentazione avviene in caratelli di castagno o rovere scolmi ed è molto lenta, per via dell’elevato contenuto zuccherino e delle basse temperature primaverili. Col caldo, avvicinandosi l’estate, si avvierà una seconda fermentazione, in un mosto caratterizzato da un grado zuccherino più basso, temperatura più alta e in presenza di alcol. Questa seconda fermentazione si arresterà spontaneamente per via dell’elevato grado alcolico raggiunto, permettendo di conservare parte dello zucchero. Uno dei segreti di questo vino risiede nei caratelli. Sul fondo di questi piccoli recipienti si raccoglie la madre, costituita dai diversi lieviti storici della cantina, quelli che hanno generato negli anni i risultati migliori e che permetteranno di tramandare la tipicità e la storicità del Torchiato. Dopo una lunga decantazione, il 2 agosto, come vuole la tradizione, il vino viene travasato. Gli anziani del paese raccontano con nostalgia che in questo giorno tutti i produttori di Torchiato ne portavano in piazza una caraffa da condividere, per mostrare orgogliosamente ai compaesani quando buono fosse il proprio vino. E nella festa generale, anche ai bambini, ma solo in questa occasione, era permesso di assaggiarne un po’! Ai giorni nostri, a Fregona si svolge intorno alla fine di aprile la mostra del Torchiato, durante la quale i produttori presentano il proprio vino ed è possibile degustare l’annata appena immessa in commercio. Completano il lungo processo produttivo la sosta in botti, stavolta colme, e infine l’affinamento in bottiglia. Un lungo e paziente procedimento, giustificato solo dal desiderio di mantenere viva una tradizione grazie alla perseveranza dei viticoltori. Le caratteristiche organolettiche del Colli di Conegliano Torchiato di Fregona DOCG, ovvero complessità e finezza aromatica, spiccata acidità, buon tenore alcolico, dolcezza, morbidezza e importante persistenza lo rendono un compagno eccezionale in abbinamento a diverse pietanze, come gli erborinati e i formaggi stagionati, ma non solo. È anche un ingrediente ricercato per numerose e ghiotte ricette, si presta egregiamente come vino da meditazione e regala un abbinamento di estrema soddisfazione con diversi sigari caraibici, specialmente nicaraguensi, e anche italiani, per esempio l’Antico Sigaro Nostrano del Brenta.