Derthona, antico nome della cittadina di Tortona. Di questo vino voglio parlarvi: espressione forse più rustica ma splendida comunque e peraltro godibile senza patemi d’animo per via di un rapporto qualità/prezzo davvero irreale.
Nel mondo delle produzioni su scala industriale il cui obiettivo è la fidelizzazione del cliente, assicurare la riconoscibilità di un brand passa quasi sempre attraverso la standardizzazione del prodotto. Per i vini vale la stessa regola? Mah, diciamo che a volte sembrerebbe, soprattutto quando si parla di grandi Maison: ma non è necessariamente un male assoluto, soprattutto se la standardizzazione è spinta in modo maniacale sul versante della qualità. Discorso spinoso: non mi ci avventuro proprio. Pur non rinnegando le proprie idee e i propri principi (o, a volte, i propri gusti travestiti da principi) occorrerebbe valutare caso per caso. Per come la vedo io, la diversità non è di per sé un titolo di merito. Se il vino non mi piace, a voglia a dirmi che “si esprime diversamente”. Ma del resto io di limiti ne ho parecchi.
Tuttavia ci sono produttori che hanno inteso la faccenda del brand per un altro verso. Un nome? Walter Massa. Un contadino che ama definirsi “artigiano” il quale negli anni ottanta, partendo dalle Colline Tortonesi inondate da un fiume di vini bianchi a base di uve cortese, decise di recuperare un antico vitigno del Piemonte, difficile e dalla produttività irregolare, ormai quasi scomparso: il timorasso. In pochi anni Massa divenne capofila di un autentico movimento di valorizzazione dei vitigni autoctoni dell’alessandrino, dell’astigiano e del cuneese offrendo la ribalta a un numero sempre crescente di piccoli produttori. Spirito contro corrente allora, Walter Massa continuò a esserlo anche in seguito: intorno alla metà degli anni novanta, per esempio, quando si rese conto che il suo Timorasso migliorava dopo lungo affinamento in vetro. Decise di conseguenza, commercializzando l’annata ‘95 due anni dopo la vendemmia, faccenda piuttosto insolita per un bianco italiano.
Infine l’annus horribilis, il 2012. In aperta polemica con il sistema di nuovi vincoli imposti ai produttori, assoggettati a un programma di monitoraggi continui che giudicò vessatorio, Massa decise di uscire dalle DOC praticamente con tutta la gamma dei propri vini. Vi serve altro per inquadrare il personaggio? Provate a cercare il sito internet dell’azienda: in bocca al lupo. Insomma non proprio un vignaiolo della generazione 2.0. Ecco il brand secondo la filosofia dei Vigneti Massa. O meglio, la parte del brand che rivela la personalità del produttore: il che, in questo caso, è prossimo al tutto.
Quanto ai vini, per lo più espressione di vitigni autoctoni, quattro sono a base timorasso. Tre provengono da cru: Costa del vento, Sterpi e l’ultimo nato: Montecitorio. Nella fascia d’ingresso troviamo invece il Derthona, antico nome della cittadina di Tortona. Di questo vino voglio parlarvi: espressione forse più rustica ma splendida comunque e peraltro godibile senza patemi d’animo per via di un rapporto qualità/prezzo davvero irreale.
Il millesimo 2012 si presenta con veste dorata scintillante, bellissima. Al naso è abbastanza intenso con un bouquet variegato: zagara, pesca gialla, mango, miele millefiori, salamoia, erbe aromatiche fresche. Dopo un quarto d’ora nel bicchiere sviluppa inattesi sentori minerali che paiono strizzare l’occhio oltrefrontiera: chardonnay di Chablis? Riesling renani? Può darsi: ma forse è ora di piantarla con la pietra focaia, la polvere da sparo e gli idrocarburi descritti come patrimonio esclusivo di qualcun altro. Ché il Padreterno un po’ di minerali li ha dispensati anche altrove.
L’esame gustativo rivela freschezza e sapidità marcate in discreto equilibrio con le componenti morbide, per quanto il raggiungimento di questo equilibrio passi per sentieri piuttosto accidentati: il sorso infatti è dinamico ma a tratti nervoso e si imbatte in continue punture di spillo minerali. Mediamente strutturato ma persistente su coerenti ritorni fruttati. Un vino dalla stoffa davvero singolare che, una volta assaggiato, non si dimentica facilmente, piaccia o meno. A me è piaciuto molto. Ma neanche questo è un titolo di merito.
Severa selezione in vigna, vinificazione senza impiego di lieviti selezionati, niente solfiti fino all’imbottigliamento. Ecco parte dello stile di Massa l’artigiano. Ne escono vini che “…magari sono stonati ma cantano!” come ebbe modo di dichiarare in uno memorabile incontro organizzato dall’AIS alcuni anni orsono. Forse è questo il vero significato di brand. Almeno per Walter Massa; magari anche per qualcun altro: purché abbia avuto modo di assaggiare i suoi vini.
Se siete nei paraggi di Tortona lo potete provare in abbinamento a un piatto tipico della tradizione, l’Ajà. Ma non disdegna pietanze speziate della cucina orientale o caraibica.