Epistenologia – Il vino e la creatività del tatto

Epistenologia – Il vino e la creatività del tatto

da | 5 Ott, 2016

Nicola Perullo, l’autore del libro, è docente universitario di Estetica.

Oltre a questo, è appassionato di vini con un curriculum tradizionale nella sommellerie e una lunga esperienza di degustazioni.

Nicola Perullo, l’autore del libro, è docente universitario di Estetica. Oltre a questo, è appassionato di vini con un curriculum tradizionale nella sommellerie e una lunga esperienza di degustazioni.

Il testo del pamphlet (pubblicato da Mimesis Edizioni) suggerisce una prospettiva che è a suo modo radicale: nell’intuizione, nel presupposto teorico e nella pratica. Anzitutto per l’autore che ne narra l’antefatto, quando la stanchezza per il costante ricorso a modelli analitici standardizzati nella descrizione e valutazione dei vini gli ha fatto intravedere l’opportunità di una rifondazione concettuale: l’assaggio non più finalizzato al giudizio ma inteso come incontro, relazione e intreccio.

Si mette a fuoco l’idea che la conoscenza passi attraverso l’azione dei sensi – e del tatto in particolare – che veicola esperienze non misurabili né quantificabili; il varco della percezione apre all’immedesimazione con ciò che ci circonda (in questo caso il vino) in un flusso vitale in continuo movimento. Il che porta alla ridefinizione del giudizio: non valutare ciò che rinveniamo durante il cammino come un corpo estraneo, da esaminare analiticamente, ma piuttosto viverlo come un incontro, un “con-tatto” che crea a sua volta: perché si crea la strada anche nel momento in cui la si percorre.

L’esame oggettivo è sovrastruttura illusoria perché, essendo quella col vino una relazione, inevitabile è una intersezione di traiettorie legate al sentire del momento, al contesto dell’assaggio, alla vitalità espressa nel bicchiere, alle modifiche che quel contatto in noi realizza, alle immagini e ai gesti che ne vengono evocati.

Tutte componenti volubili per assunto che come tali devono essere godute. Qui e ora. Senza punteggi né categorie a cui incatenare il giudizio. Come la relazione con una persona non si valuta tramite una scheda analitica o una fascia di punteggio, allo stesso modo il rapporto col vino, che è vivo e muta a ogni istante, non dovrebbe essere ingabbiato in un costrutto statico che tenderebbe, in definitiva, solo a soddisfare il nostro bisogno di catalogazione e semplificazione o di accondiscendenza a un modello di valori precostituito.

La riflessione si rafforza ove si consideri l’assaggio non già come un processo “ottico” (io osservo, tu ti fai osservare) ma come un percorso “aptico” (scambio tattile attraverso l’intimo contatto con il liquido, percepito coi sensi dall’interno del nostro corpo).

È un percorso di spogliazione da regole e schemi, anzi, di liberazione che fa intravedere la possibilità di un ripensamento, senza peraltro imporre veti o proporsi come modello alternativo. Non è una corrente di pensiero concepita per fare proseliti e sostituire ciò che esiste con altre forme di dogma. Si lascia intendere piuttosto che i piani di lettura possano essere diversi, non l’anarchia del “fai come ti pare” o la sicumera del “ho ragione io”.

È un tragitto che comunque esige disciplina, capacità di ascolto e interazione. E richiede che i vini abbiano agio di muoversi liberamente ed esprimersi e che quindi non siano a loro volta ingabbiati da sovrastrutture che ostacolerebbero l’assaggio “aptico”. Un vino vivo, vitale, dinamico, perfino imprevedibile ma che sia espressione della poetica della “cura” e dell’attenzione di un vigneron più che della sua “capacità” di saper fare un determinato prodotto con determinate caratteristiche, pensate in anticipo in un certo modo.

Stupisce dell’autore l’attenzione per la diversità che ciascuno a suo modo legge e interpreta: un desiderio di comunione e apertura mentale fondata sull’ascolto per lasciarsi segnare dal tocco di ciò che è altro da noi. Senza per forza voler incasellare questa esperienza, unica e soggettiva per definizione, in un archivio preconcetto. Il giudizio riportato, quindi, a una dimensione creativa, sciamanica, che congiunge al movimento, alla vita, alla conoscenza.

Si può – e in alcuni contesti è necessario – degustare il vino secondo regole e canoni. L’auspicio dell’autore è che lo si faccia alla luce di una nuova consapevolezza, sapendo che c’è un modo differente. Perché la simbiosi con un vino, con quel vino qui e ora, va ben oltre la somma di informazioni e giudizi.

Assaggiamolo non limitandoci a valutarlo. Perché il vino “non è una conoscenza da oggettivare, ma un incontro da realizzare. Non si tratta di acquisire dati, ma di creare immagini e traiettorie”.