Ho conosciuto Matteo Bellotto qualche anno fa a Sassari in occasione del Collio Day. Ero stato invitato, insieme ad altri colleghi sommelier, per condurre alcune degustazioni di vini provenienti da quel magnifico scrigno vitivinicolo del nord-est, il Collio goriziano, mentre Matteo era stato designato dal Consorzio dei vini del Collio quale ambasciatore di quel territorio “bello e dannato”; bello per il suo fascino e le sue attrattive naturali, dannato perché a lungo conteso durante le guerre mondiali che ne hanno segnato in maniera indelebile i luoghi e la memoria.
Profondo conoscitore della sua terra, degli usi e costumi locali, dei vini e dei prodotti tipici, rimasi affascinato dalla innata propensione al racconto di Matteo; la sua narrazione era agile, particolareggiata e accattivante; era capace di catalizzare l’attenzione dell’uditorio e di scandire sapientemente il ritmo della serata alternando lo storytelling coi vari momenti di degustazione.
Questa sua attitudine narrativa la ho ritrovata nel suo libro “Storie di vino e di Friuli Venezia Giulia” (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, pagg. 191, € 12,00), pubblicato qualche tempo dopo, a maggio del 2019.
Nonostante il titolo, non si tratta di un libro sul vino!
È una raccolta di racconti, di storie locali; un testo in formato tascabile che ha la capacità di catapultarti nelle vie, nelle vigne e nelle osterie di quei borghi di confine. Ti senti immerso in queste piccole storie di paese, ti sembra quasi di vedere i personaggi materializzarsi, fino a immedesimarti come inconsapevole testimone tra i presenti.
Il vino non è il protagonista assoluto. Talvolta si prende il centro della scena; altre volte è un comprimario; più spesso gioca il ruolo della comparsa. Eppure c’è sempre; è una presenza costante; una sorta di filo conduttore della narrazione che si dipana portando all’attenzione del lettore piccole storie quotidiane.
La cosa che mi ha veramente colpito è che molte di queste vicende mi sembrava di averle già sentite in passato o addirittura di averle vissute, una sorta di déjà vu; non per mancanza di originalità, ma perché racconti di questo tipo si sentono nei bar, nelle osterie e nelle cantine di ogni paese che ha una tradizione di produzione vitivinicola; ogni villaggio ha il suo “scemo”, il suo ubriacone, quello che si è rovinato per stare appresso al bottiglione, quello che inseguendo un sogno ha investito tutto quello che aveva in una grande vigna e ha fatto fiasco fallendo inesorabilmente. Vi sono anche le storie di successo e di emancipazione di chi è riuscito a realizzare il suo sogno, di chi è emigrato ed è tornato ricco, ma anche di chi non è più tornato. Ci sono storie di donne che non hanno mai lasciato il proprio paese per coltivare un amore difficile e quelle di altre che invece, proprio attraverso la produzione del vino, “un lavoro da maschi”, sono diventate imprenditrici affermate portando avanti progetti ambiziosi e realizzandoli.
Ogni lettore troverà un racconto parallelo al proprio vissuto o avrà questa sensazione che lo porterà a correre velocemente da un brano all’altro.
Vorrei suggerire in abbinamento un vino per ogni racconto, anzi, il vino citato in coda a ogni racconto, ma con questa facilità di lettura il rischio è di arrivare a fine serata completamente ubriachi.
Buona lettura!