Appuntamento nel mezzo dei territori e tra le declinazioni enoiche meno note di Francia.
Da qui il titolo “Miniature d’Oltralpe” che ben rappresenta il momento di approfondimento e il percorso sensoriale attraverso i quali ci ha guidato Samuel Cogliati, giornalista, scrittore ed editore, battendo sentieri poco noti al grande pubblico e meno esplorati perfino dagli addetti ai lavori.
Appuntamento nel mezzo dei territori e tra le declinazioni enoiche meno note di Francia.
Da qui il titolo “Miniature d’Oltralpe” che ben rappresenta il momento di approfondimento e il percorso sensoriale attraverso i quali ci ha guidato Samuel Cogliati, giornalista, scrittore ed editore, battendo sentieri poco noti al grande pubblico e meno esplorati perfino dagli addetti ai lavori.
Viaggio che parte da un inquadramento legislativo, ampelografico e storico del mondo vitivinicolo transalpino, esaminato attraverso i principali interventi normativi e colturali che ne hanno segnato l’evoluzione.
Per come appare oggi, il perimetro del vigneto francese è tracciato da circa 160 vitigni autorizzati, derivazione di due famiglie prevalenti: cabernets (cabernet sauvignon e franc, merlot, petit verdot, malbec, ecc.) e noiriens (pinot noir, pinot gris, pinot blanc, gamay, savagnin, ecc.). Nesso di congiunzione genetica tra le due matrici il guay, vitigno ormai scomparso. Similmente a quanto verificatosi in altre aree del bacino del Mediterraneo, l’introduzione della vite in Francia si deve ai Greci, mentre la sua diffusione è ascrivibile ai Romani che sfruttarono i corsi d’acqua per estendere gli impianti a occidente e verso settentrione.
L’incrocio con le viti selvatiche indigene comportò un’ibridazione e l’affermarsi dei vitigni noiriens. Nel Medioevo furono gli ordini monastici a preservare la coltivazione della vite attraverso l’individuazione e la delimitazione delle terre più vocate, contribuendo al disegno del vigneto francese, con la suddivisione in clos e climats.
L’istantanea che ci consegna Henry d’Andeli, tratta dalla sua “Bataille des vins”, raffigura un vigneto che, in pieno XIII sec., era molto diverso dall’attuale, concentrato lungo la fascia mediterranea e a nord verso Borgogna e Champagne. Già allora pare fosse in uso una prassi non distante da una sorta di concezione arcaica di denominazione d’origine, per la quale i vini erano identificati con il nome del luogo e non del vitigno, considerato unicamente lo strumento più idoneo per la lettura di uno specifico territorio.
Il Rinascimento vide l’instaurarsi di rapporti coi mercati stranieri e la creazione di una fitta rete commerciale grazie agli importatori britannici e olandesi che rifornivano i paesi d’origine e le colonie. In questa fase storica, e poi fino alle soglie del XVIII secolo, oltre all’incremento degli scambi commerciali si registrarono migliorie tecniche come l’introduzione della solfitazione delle botti, l’utilizzo della bottiglia di vetro e l’adozione del tappo di sughero.
Sempre agli Inglesi e agli Olandesi si deve la specializzazione nella produzione: gli uni alla ricerca di vini più strutturati e longevi, gli altri amanti dei vini dolci e morbidi. In quest’alveo si colloca il grande impulso dato alla vitivinicoltura del bordolese e del sauternais. Le innovazioni facilitavano l’immagazzinamento e il trasporto; la domanda crescente da parte dei mercati esteri determinava dal canto suo un incremento delle possibili fonti di approvvigionamento e la diversificazione dell’offerta. L’ottocento, con lo sviluppo della tecnica e l’affermarsi della borghesia, offrì condizioni ideali per la nascita di una moderna cultura enologica e per il mutare degli equilibri socioeconomici; processi favoriti dalla diffusione di mezzi di trasporto, dall’arrivo delle pandemie dalle Americhe, dalle scoperte scientifiche: uno degli effetti fu la marginalizzazione dei vignerons e il loro asservimento ai négoce, cui seguirono tensioni sociali e il sorgere delle prime cooperative di viticoltori consorziati a tutela dei propri interessi.
Effetto ulteriore fu l’espansione della domanda da parte di una nuova classe di consumatori: il ceto borghese. I primi decenni del XX sec. trascorsero nel segno della meccanizzazione e di alcune fondamentali tappe legislative come la creazione dell’INAO, delle AOC (1936) e, quindi, l’adozione del concetto di denominazione d’origine, associato al rispetto di protocolli produttivi. Uno degli esiti fu tuttavia anche una sorta di “normalizzazione”, con il conformarsi dei vini a un parametro organolettico imposto come qualitativo e con il conseguente impoverimento del concetto di terroir.
Le degustazioni
Leitmotiv ricorrente quando si presentano vini francesi è anteporre nella sequenza i rossi ai bianchi, così come preferire temperature di servizio più basse (14-15°C) per i vini rossi. Samuel Cogliati ha condotto gli assaggi di ciascuna batteria in due tempi: prima l’esame olfattivo di tutti i campioni; poi l’esame gusto-olfattivo.
Fronton rouge Chateau Plaisance 2014
Proveniente dalla regione del Sud-Ovest, nella media Valle della Garonna, da suolo alluvionale con presenza di ciottoli e limo e una altitudine media di 200m. Vino ottenuto da negrette 50%, syrah 26%, cabernet franc 15%, gamay 9%. Pigiadiraspatura, fermentazione spontanea in acciaio a temperatura controllata, affinamento con due travasi, assemblaggio dopo un anno circa.
Rubino vivace e semitrasparente. Profilo inizialmente legato a due matrici: impronta vinosa e sentori speziati e animali. Progressione su note di frutta molto matura; fumoso. Naso croccante e impronta balsamica per un bouquet al contempo semplice e diversificato, leggero e profondo. Sa ricomporsi diventando più solare e con sentori quasi mediterranei. Bocca in equilibrio nonostante i contrappunti acido-tannici, per un vino costruito attorno a una sapidità centrale. Grana tannica finissima, quasi polverosa, accompagnata da un sussulto acido che ne prolunga l’eco. Persistenza fruttata con finale di ciliegia e marasca. La sensazione tannica vira in chiusura su una percezione salina-amaricante.
Vin de France “Metis rouge” – Julien Labert 2015
Dal territorio prevalentemente marnoso di Rotalier, lungo le coste meridionali dello Jura, un uvaggio di trousseau 21%, poulsard 15%, pinot noir 11%, chardonnay 6%, gamay 5%, altri vitigni indigeni 42%. Fermentazione spontanea in legno e maturazione in botte usata per 8 mesi.
Rubino scarico. Frutto fragrante, espressione delicata eppure netta per definizione dei riconoscimenti di melagrana e lampone. I lievi sentori floreali e di cipria custodiscono un’anima più scura che ricorda la pelliccia. Naso di caramella: squillante, goloso; cenni linfatici e di buccia d’agrumi canditi, stretti tra note erbacee di rovo. In bocca è carezzevole ma sapido; sferico per morbidezza e struttura con una vitalità e una dinamica accordate da sapidità e acidità. Chiusura intrigante all’insegna della pseudo-dolcezza aromatica.
Coteaux champenois “En Barmont” – O. Horiot 2010
Un rosso fermo della Champagne! Dalle marne kimmeridgiane di Les Riceys, nell’Aube, proviene questo pinot noir ottenuto con fermentazione spontanea in legno, imbottigliato senza filtrazione né chiarifica.
Rubino vivo poco intenso con sfumature tra il granato e l’aranciato. Primo naso “muto”; tarda a rivelarsi e quando lo fa non nasconde una certa ritrosia. Estrema, fragile delicatezza. Note tra fruttato, speziato ed erbaceo. Profumi fugaci d’inchiostro e di carta fresca di stampa. Naso tratteggiato, fumoso di camino spento e cenere bagnata. Lentamente si apre: liquirizia, zucchero caramellato della crema catalana, cenni d’erboristeria, cipria, sentori fenolico-iodati e di china.
Grande bocca! Finezza e leggiadria. Propensione fresco-sapida evidente e sensazioni di pepe appena macinato. Tannini di seta e chiusura fruttata golosa, con leggera dominante acido-tannica a sostenere il sorso.
Irancy “Les Beaux Monts” – Vini Viti Vinci 2014
Irancy, nella valle dello Yonne, è la denominazione di questo pinot noir; uve provenienti da un terroir marnoso-calcareo e vinificate senza diraspatura con fermentazione spontanea in legno, poi affinamento in piece. Nessuna filtrazione o chiarifica.
Rubino scarico, leggermente velato. Suggestione aromatica dolce tra frutta e cannella, noce moscata e spezie. Agrumi, note vegetali e animali; bacche come la rosa canina. Poi fiori e salsedine, muschio e sottobosco; legna umida, zolfo, china. Profilo cangiante di foglie umide, solfatara e vernice. Salino e fresco più di tutto; tannino asciutto, senz’altro evidente ma rifinito. Vino che sa coinvolgere per quanto imbrigliato nell’allungo dalla giovane età.
Cheverney rouge Clos des Carteries – Chr. Venier 2015
Gamay e pinot noir coltivati su terreni sabbiosi e fondo di argilla silicea a Cheverney, nella Touraine orientale. Le uve non diraspate vengono sottoposte a macerazione semi-carbonica, poi fermentazione spontanea. Imbottigliato senza filtrazione.
Rubino trasparente. Riferimenti a frutta e spezie vicini alla terra: china e bacche viola, strette da una morsa proteica, ematica. Naso contratto, difficile, alla ricerca di una nitidezza che inizialmente non ha. Vino materico, succoso, quadrato. La frutta e i tannini sono la sua cifra. Grande persistenza su ricordi minerali.
Cotes du Roussillon village rouge “VV” – Gaubry 2013
La regione del Rossiglione è la patria di questo vino da viti venerande messe a dimora su suoli calcareo-scistosi: carignan 35% (piante di 125 anni), syrah 30%, Grenache (ceppi di 55 anni) e mourvédre 10%. Alla diraspatura e alla fermentazione spontanea segue un affinamento di 24 mesi in barrique. Imbottigliato senza chiarifica né filtrazione.
Rosso rubino cupo. Frutta sotto spirito, pelletteria e cuoio marcano le prime olfazioni. Cenni ossidati e speziatura profonda introducono un vino spesso e carico che sa irretire con la dolcezza del tabacco e scuotere con cenni eterei di solvente e note mentolate; chiama aria e, finalmente, rivela un’integrità di frutto sorprendente. Sfuma balsamico con ricordi di olio essenziale di menta piperita.
Al gusto si propone con una morbidezza delicata, soave. Tannino setoso per quanto in evidenza. Vino stratificato, persistente, rinfrancato dai balsami. Le note di smalto e canfora percepite in retrolfazione non pregiudicano la piacevolezza che anzi pare nutrirsi di contrasti.
Vin de France “Melon” – Domaine de la Cadette 2015
Il melon de Bourgogne è un vitigno quasi scomparso nella sua regione d’origine. Rimangono ancora delle minuscole sacche di resistenza come quella da cui proviene questo vino, Verzelay, nella valle dello Yonne in Borgogna. Uve coltivate su terreni calcareo-marnosi; la vinificazione prevede pressatura pneumatica dolce, sfecciatura statica, fermentazione spontanea, affinamento di 6 mesi in solo acciaio, nessuna chiarifica né filtrazione.
Paglierino molto luminoso con riflessi verdolini. Impatto vinoso-fermentativo; timidi sentori di agrumi ed erbe aromatiche. Zenzero, fieno, sambuco, nocciole fresche, origano e melissa. Crudo, diretto, a nervi scoperti. Sorso apparentemente leggero, in equilibrio tra freschezza e avvolgenza serica. Strutturato. Tende a scindersi nel finale. Chiusura quasi tannica su note di pepe bianco e menta piperita. Intensamente sapido e morbido.
Irouléguy blanc “Hegoxuri” – Domaine Arretxea 2014
Nei Paesi Baschi francesi (regione Sud-Ovest), nel pedemonte pirenaico, su suoli costituiti da arenaria ricca di ossido di ferro e da sedimenti limo-sabbiosi si coltivano le uve gros manseng (60%), petit Manseng (35%) e corbu (5%) da cui viene prodotto questo vino. Il processo di vinificazione prevede pressatura diretta, fermentazione spontanea e affinamento in botte da 600 l e in acciaio.
Paglierino intenso. Tonalità leggermente ossidative. Generoso, solare: profuma di cereali, malto e panificazione. Accenti amaricanti di buccia di melacotogna e chiodi di garofano. Erbe aromatiche e frutta leggermente avvizzita. Incenso e cardamomo. Singolare assaggio: colpisce e si chiude, poi si rivela progressivamente guadagnando spazio. Sapido e sorprendente per verve tannica, da rosso leggero. Senz’altro da attendere a lungo perché al momento non se ne intravede la maturità. Un autentico terremoto.
Viré-Clessé “Quintaine” – Guillemot-Michel 2014
Suoli di limo da degradazione di rocce calcaree caratterizzano il Mâconnais centrale in cui è coltivato lo chardonnay da cui nasce questo vino. Le uve subiscono una pressatura dolce; contrariamente ai canoni borgognoni, le fermentazioni spontanee, alcolica e malolattica, si svolgono in cemento a temperatura controllata. Affinamento in vasca per un anno. Leggera filtrazione prima dell’imbottigliamento.
Paglierino con riflessi verde-oro. Naso d’intensa generosità aromatica: miele, prugne e ananas maturi, papaya, castagnaccio, brioche e burro. Corredo erbaceo di maggiorana e fieno, sentori di biere blanche. Straordinaria maturità di frutto; nell’accezione francese: un vino sudista. Noce, uva passa, tamarindo, rabarbaro e chinotto. Acidità e sapidità in connivenza con una nota amaricante che trascina verso un finale generosamente sapido. Acidità rinfrescante che produce quasi un effetto balsamico. Chiude su sentori di mela verde. Pecca appena nell’allungo.
Palette blanc – Chateau Simone 2012
Clairette 80%, grenache blanc 10%, ugni blanc 6%, bourboulenc e muscat blanc 4%, costituiscono la base ampelografica per la produzione di questo delizioso vino provenzale, ottenuto da suolo argilloso-calcareo che giace a un’altitudine di 150-250 m con esposizione prevalente verso nord. Le uve sono sottoposte a pressatura idraulica verticale e sfecciatura. La fermentazione spontanea avviene con controllo delle temperature; segue un prolungato affinamento in botti grandi (da 20-30Hl) per 18 mesi (6 mesi sulle fecce fini) e un periodo di 12 mesi in barrique.
Colore oro antico. Prima olfazione di idrocarburi, pietra focaia e balsami. Cera d’api, legni aromatici, credenza antica. Cerca il contatto con l’aria. Sentori dolci e laccati. Spettro olfattivo evoluto, maturo. Assaggio prossimo alla perfezione delle forme: equilibrio, dinamica, ritmo. Acidità che è un acuto mai solitario: l’evoluzione espressiva sa essere corale e in moto perpetuo. Investe e coinvolge ogni recettore del cavo orale in una danza armonica. Sorso vivido, lunghissimo, emozionante.
Gaillac Mauzac nature – Domaine Plageoles 2015
Il Sud-Ovest è patria di questa méthode rurale o galliacoise, ottenuta da viti mauzac rosé, allevate su suoli argilloso-calcarei. Pressatura diretta, chiarifica statica, fermentazione, imbottigliamento con 20-30 g/l di zuccheri residui e presa di spuma spontanea; nessuna sboccatura.
Paglierino tenue. Effervescenza molto diffusa e sottile, un po’ velato. Naso gentile, di balsami e frutta fresca; tocchi iodati e di gomma pane; albicocca, poi salvia e menta in chiusura. Naso fragrante, diretto, immediato. Messo in tensione da richiami agrumati e floreali che fanno pensare a un certo mondo brassicolo. Sorso semplice e immediato che muove tra toni freschi e lieve residuo zuccherino; sottile nota amaricante ad accompagnare un assaggio molto ben definito per corrispondenza gusto-olfattiva. Metodo ancestrale con residuo zuccherino di 10 g/l.
Jurancon “La Magendia” – Lapeyre 2012
Il petit manseng coltivato su suoli calcarei, coperti di argille, con sabbie e silice, produce le uve per questo vino molleaux dello Jurancon. La vendemmia è tardiva con più passaggi in vigna, sfruttando in alcune annate la presenza della botrytis. Pressatura soffice e lenta, fermentazione spontanea e prolungata in botte. L’affinamento di un anno si completa in legni di diversi passaggi e infine un’ulteriore sosta in vasca prima dell’imbottigliamento.
Dorato luminoso. Bouquet spiazzante tra note eteree, mielate e di umami. La frutta molto matura – albicocche e agrumi – già muove verso la disidratazione. Zafferano, zagara, genziana, estratto di carne, cera d’api, china e canfora segnano un profilo ampio e profondo al contempo. Assaggio tridimensionale che si fa sintesi di spinte zuccherine/gliceriche e reazione acida/salina. Riconoscimenti definiti di arancia sanguinella e marmellata di arancia amara con ulteriori, intensissimi rimandi a quanto registrato durante l’esame olfattivo. Difficile da dimenticare.